Paola Bonora




Mostra fotografica di Tiberio Zucchini.

Quando una stanza è da sola, abbandonata, sospesa in un tempo ormai senza più una direzione, e costantemente ferma dentro sé stessa, a cosa mai potrà pensare se non a ciò che è già accaduto? Anche quando sembra in attesa, come quella con la tavola apparecchiata, è molto probabile che non sia veramente in attesa. Il piatto posato in perfetta simmetria con gli altri, lo schieramento di bicchieri e posate, sono soltanto il frutto di un gesto, non il suo senso perché le cose, per averlo, debbono essere toccate dalla vita.
In fondo una stanza disabitata mostra tutto ciò che è già stato, e quel che si può vedere sono gli oggetti rimasti, che sono per l’appunto i pensieri della stanza. Pensieri assediati da un tempo esitato.
La poltrone, i tavoli, persino le piante… tutto questo non ha più corpo, ma è soltanto il ricordo di qualcosa che non c’è più, e a volte che non c’è ancora. Una stanza da sola ha un vago ricordo del passato e un futuro completamente risolto in un’attesa assoluta. Ma lì, nel momento preciso del presente c’è il vuoto. L’assenza. La dimenticanza.
Quella scala, per esempio, appoggiata a quella parete senza storia. Messa lì non serve. Eppure è il segno di un pensiero disperso che la stanza conserva, qualcosa di fatto che non si sa. Così come quella sedia di profilo, piantata lì in quel modo, abbandonata, non è quasi più una sedia, ma il gesto di qualcuno che l’ha spostata (forse anche malamente) perché era tra i piedi. E quell’altalena ora nega sé stessa, ormai è solo un gesto fermo nel tempo, senza più un prima, senza più un poi, ma conserva ancora tutta la bellezza di un pensiero fatto qualcun altro.
Quando la stanza è sola vive di questi pensieri che restano nell’aria come un gesto, pensati continuamente, senza tregua, quasi in eterno o appartenenti a un tempo parallelo. Poi qualcuno passa, vede questi pensieri, e ne fa una storia. Ne può fare anche una fotografia, ma la fotografia è sempre un’altra stanza con un’altra storia.

Angelo Andreotti