Paola Bonora




Occuparsi di un giardino – mentale o reale, descritto o dipinto, immaginario o vivo e vegeto che sia – è un’attività così significativa della vita umana, femminile specialmente, che viene fatto di chiedersi il perché.
Un’ipotesi è che il giardino ci tocchi nell’intimo perché dotato della capacità di rimandare direttamente al mondo: a quel mondo che, nella sua bellezza fragile e bisognosa di cura, ci chiama a un atto immediato di responsabilità e di amore.
Un’altra è che il giardino, abitato da quelle forme semplici, silenziose e stupefacenti che sono i vegetali, si dia come emozione fuori dal comune: uno spazio nel quale abbiamo accesso a espressioni non scontate della sensibilità e dell’intelligenza, che ci muove alla ricerca di un altro sapere e alla scoperta di un altro sentire pur di poter stare, in modo sensato e pieno, in sua compagnia.

Nell’un caso come nell’altro, forse pensare al giardino come a un riassunto della bellezza del mondo, tempo propizio a che la vita ci folgori con la sua intensità e luogo in cui si concentra l’evidenza dell’esistere, può aiutarci a comprendere quella particolare gioia, che tanto salta all’occhio, legata alla sua frequentazione, contemplazione, cura, pittura, scrittura a cui le donne così volentieri si dedicano. Onorando al meglio, con precisione e passione, la condizione umana.
Precisione e passione che sono, a ben vedere, le coordinate stesse dell’opera di Claudia Spisani e più in generale della pittura botanica, che non si lascia praticare se non da chi nutra in sé un travolgente sentimento della natura ma lo sappia, allo stesso tempo, disciplinare, sottomettendosi al rigore della natura stessa. Insomma una pittura che implacabilmente richiede, proprio come un giardino, un’estrema attenzione e un’immensa pazienza, insieme alla capacità di lasciarsi andare alla felicità della materia e delle sue forme partecipando, per quanto possibile, della loro esultanza.

Monica Farnetti