Esatte casualità sublimi nefandezze
Per la prima volta, dopo tanti anni di attività, Paolo Pallara ha voluto accompagnare una sua mostra con due brevi scritti. Conoscendolo da tempo e apprezzandone da sempre la magistrale manifattura e la parsimonia verbale, ho trovato la cosa sorprendente, chiaro indizio di un coinvolgimento molto più personale del solito che anche la scelta dell’intima collocazione espositiva conferma.
Per la prima volta, da che io ricordi, Paolo Pallara espone dipinti in cui compare la figura, umana, allo stato larvale o di incubo, tanto più evocativa e patetica quanto meno definita.
Queste due novità aiutano certamente a delimitare il campo delle possibili interpretazioni, ma non evitano la domanda di fondo, se cioè le macchie di cui ci stiamo occupando siano il principio generativo dell’opera o siano ciò che la contamina, in altre parole se si tratta di quadri di macchie o di quadri con macchie. In altre parole ancora: è possibile individuare, nella totalità dei segni tracciati, quelli che potremmo definire macchie, distinti dagli altri come se appartenessero a due mondi differenti?
La macchia, in arte, può essere il pretesto che scatena l’invenzione, ma può anche possedere totale autonomia, insomma, se alcune macchie hanno la possibilità di acquisire un’aura artistica l’arte ha comunque il potere di servirsi di ogni tipo di macchia. Quale la strada intrapresa da Paolo Pallara? La risposta sembra più facile se leggiamo i suoi testi verbali, ma attraversare i suoi fogli strappati e colorati per cercarla è infinitamente più affascinante.
Giovanni Guerzoni