La stoffa dell’acqua
La stoffa dell’acqua è l’attitudine, che essa manifesta, a rapire e duplicare, i soggetti, la luce, il cielo, le forme che vi si affacciano e, in qualche modo, a conservarle in forma di riflessi.
L’acqua ha stoffa, persino nella sua formula chimica e nella struttura molecolare.
Le molecole d'acqua allo stato liquido sono unite da legami deboli tra gli atomi di idrogeno e ossigeno, che permettono loro di muoversi e scorrere le une sulle altre, inoltre i tre atomi non si dispongono in linea retta, ma formano un angolo, e fanno pensare a filamenti intessuti, come in un finissimo lavoro di tricot. Per questi motivi l’acqua, che appare come una superficie, se tenti di prenderla in mano è sfuggente, non la trattieni e, per ladote della capillarità penetra, ostinatamente, negli oggetti porosi.
L’acqua che Beatrice Vaccari ritrae in questa mostra è così, insinuante e persistente, ha personalità, memoria e forse nostalgia.
Apparentemente sono i riflessi degli alberi, del tramonto, delle luci serali, dei toni specchianti di viola e di verde, i temi. Ma si manifesta subito un’altra superficie, a margine, come una nota da tenere in memoria, è un tessuto di segni, leggerissimi, aleatori, vibranti e scivolosi, una sorta di rosolio dell’immagine, il distillato, il senso vero della sembianza che Beatrice ci vuole mostrare.
Un tessuto a maglia, come un tricot, si diceva, di filamenti e di segni, a volte elegantemente esplosivi a volte soffusi. Nelle opere che Vaccari presenta sotto il titolo: “superficie – segni di luce” c’è un senso di nostalgico, non solo come emozione, o non principalmente, l’emozione può esserne l’effetto. Quello che vedo è una ‘nostalgia da laboratorio’, quella che un ricercatore può scoprire analizzando forme di ricordo inusitate, cioè quelle della materia, la quale può conservare memoria di tutti i suoi accadimenti, che siano insulti o carezze.
L’acqua possiede la stoffa per questa sorta di nostalgia della materia.
Avrà memoria, e pertanto nostalgia, di tutti i riflessi dolci del fogliame nella brezza della sera? Conserverà l’insulto del raggio che la perfora a mezzogiorno?
Le ‘note a margine’ che l’artista affianca alle immagini, come luci e riflessi statici o in movimento , sono fatte di fitti segni o languide tracce, di note di colore, acquerelli, pastelli colorati o grafite, su carta seta e veline. Le matite insistono delicatamente sulla superficie delineando onde e impalpabili brillii, filamenti di luci che rimbalzano e si intrecciano, materiali leggerissimi che danno sostanza fluida ed inafferrabile allo smarrimento che abbiamo di fronte al ‘sublime’ che la natura ci presenta.
Che sia ‘parco urbano’ o luogo del mito, che sia lago o pozzanghera di pioggia, non importa, ma piace pensare come l’acqua possa riconoscere i soggetti che le si accostano e farli della sua stessa sostanza. Così l’onda si fa plastico riverbero nell’aria, così il tramonto si fa d’acqua.
L’acqua, quindi, materia inafferrabile, fluida, instabile, scivolosa è un tessuto e che contiene trame, un mosaico di minutissime parti e Beatrice Vaccari ci mostra la sua ricerca estetica, che è una speciale macchina del tempo e della nostalgia, che può operare sulla permanenza delle forme nel tempo che scorre.
Lucia Boni